(Nella foto, Emanuele De Bonis nella sua stanza)
Del suo caso ce ne occupiamo da anni già tre anni, l’ultima volta ad aprile scorso (clicca qui per leggere l’articolo), e come noi tanti numerosi colleghi del posto. Ma per Emenuele De Bonis, affetto da adrenoleucodistrofia con tetrapresi spastica, e sua madre Anna Cervati in questi anni è stato fatto molto poco.
Nonostante Emanuele sia considerato un disabile grave, non cammina, non vede, non parla e mangia tramite il sondino, l’Asp gli garantisce l’assistenza sole 3 ore al giorno e qualche pannolone. Par il resto mamma Anna deve fare tutto da sola, dal prenderlo in braccio e spostarlo, nonostante sia ridotta uno scheletro, fino a fargli espletare i bisogni corporali con le proprie mani.
Una sola pensione, niente lavoro, genitori morti, parenti a Milano, amici e parrocchie del posto che si sono resi disponibili economicamente fin quando è stato possibile, ora Anna Cervati non ce la fa più a vivere. Solo le due donne che l’aiutano, una di giorno e una di notte, le costano 1300 euro al mese, mentre la rigida dieta di Emanuele si attesta sui 400. Dell’assegno del fondo regionali per i disabili da cui percepisce 533 euro al mese dal gennaio scorso (e che percepirà fino al dicembre prossimo), deve restituire più di 290 euro all’Inps.
Poi ci sono gli imprevisti, le bollette, le utenze, le multe che colleziona per via della fretta e una vita anche per lei, che non può lavorare per ovvi motivi, e arrivare a fine mese diventa sempre più una scommessa. Come se la vita con loro non fosse già stata troppo crudele.
Il corpo di Anna è stanco, provato da 35 anni di dolore e sforzi fisici, dalla perdita dei suoi cari e di un figlio che non la chiamerà mai più mamma.
Non chiede soldi, chiede soltanto che il Comune di Scalea, come aveva fatto prima del commissariamento di tre anni fa, paghi lo stipendio a una sola delle donne che l’aiutano nelle faccende domestiche e ad affrontare le notti turbolente con suo figlio. Perché dalla pensione di suo figlio rimangano almeno i soldi per mangiare. Nient’altro.
Ma il rapporto Anna e le istituzioni non è mai stato troppo felice In passato, quando aveva più energie e un marito su cui contare, ogni volta che ha dovuto far riconoscere un diritto per Emanuele, come ad esempio il lettino elettrico, è dovuta sempre passare prima dai programmi televisivi delle reti nazionali, compreso il Maurizio Costanzo Show.
Il suo dramma, invece, comincia all’improvviso 35 anni fa, quando Emanuele ne aveva appena 8 e sembrava essere in ottima salute. Poi un leggero strabismo, una diagnosi agghiacciante, Anna che perde le forze e sviene mentre davanti a lei la strada si fa tutta in salita. Un bambino che comincia a perdere il senno gradualmente, cammina e sbatte contro il muro perché vede doppio, mentre sua madre, straziata dal dolore, prova a convincerlo che guarirà presto e nel frattempo registra la sua voce su un nastro perché sa che da li a poco non la sentirà mai più. Il figlio che dopo due anni non muore, come le ripetevano i dottori, ma entra in coma per 48 ore e al suo risveglio non sarà mai più come prima rimanendo in stato vegetativo per tutta la sua vita.
Il resto è una storia comune a tutte le famiglie di persone gravemente malate. Lo Stato latita, i cittadini provano pietà e a volte solo quella, la società che continua a scendere in campo per la sua squadra del cuore e mai per chi è solo e senza diritti. Mentre una madre di un figlio disabile, una delle tante, continua a mantenersi in piedi su un fascio di nervi perché non può permettersi il lusso di cadere, oppure per suo figlio sarà la fine. L’ennesima.
Noi abbiamo passato una giornata con entrambi per capire fino a che punto arriva a spingersi il destino beffardo.