Mario Oliverio scatenato: nonostante lo show mediatico con cui il presidente della Regione annunciava il suo incatenamento al Ministero della Salute, non si è verificata nessuna protesta
L’inaugurazione-farsa dell’ospedale di Praia a Mare oggi ha un sapore ancora più menzognero di quanto non avesse già prima. Proprio tra i politici e i politicanti corsi come i Re Magi a portare la novella della riapertura dell’ospedale, falsa come una banconota di 12 euro, il presidente della Regione Calabria aveva urlato la sua avversione al commissariamento della sanità fino a farsi gonfiare le vene sul collo e a giurare che si sarebbe incatenato a Roma il 1° di dicembre. E il popolino in sala giù con applausi scroscianti. Perché a volte la gente si fa trattare come le foche al circo, le dai il pesciolino e ti fa lo spettacolo. E i politici incassano il prezzo del biglietto.
Ma dicevamo di Mario Oliverio. La nostra testata è stata tra le poche a non riportare la notizia dell’incatenamento, perché sapevamo già essere falsa come tutto il contesto di quel giorno. Fortunatamente non ci avevano creduto in molti, tanto che sul web erano cominciati ironici countdown e sfottò di ogni genere. Infatti, a qualche giorno dalla “clamorosa protesta” il presidente chiama a raccolta i sindaci, un centinaio dei quali lo “convince” (immaginiamo lo sforzo) a lasciare da parte urla e catene per presentarsi al Ministero della Salute in massa il prossimo martedì 5 dicembre. Che poi le temperature della Capitale sono pure rigide in questi giorni e bisogna fare attenzione, in ambito di salute, com’è noto, prevenire è meglio che curare.
In atteso dell’ennesimo viaggio della speranza, la conferenza regionale dei sindaci calabresi si è già data un gran bel da fare inoltrando la richiesta della fine del commissariamento a Montecitorio, che proprio due giorni fa ha accolto la richiesta contenuta nell’ordine del giorno sottoscritto dai deputati Pd calabresi Bruno Bossio, Magorno, Aiello, Barbanti, Battaglia, Censore, Covello e Nicodemo Oliverio. Peccato che però ora serva «un tavolo istituzionale con la Regione Calabria al fine di porre in essere una road map in grado di assicurare un’attenta gestione finanziaria e soprattutto di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza per i cittadini» e che la proposta ora dovrà passare al vaglio del Senato. Se così fosse, se il commissariamento cesserà, di certo non sarà nelle prossime settimane.
Situazione ben diversa invece nel Lazio, roccaforte della ministra Beatrice Lorenzin, che ha annunciato la fine del commissariamento della sua regione già due giorni fa, avvenuta con una semplice deliberazione e senza troppi fronzoli. Che le elezioni politiche incombono e la stagione dei miracoli deve cominciare.
In compenso per i calabresi abbiamo una notizia: la fine del commissariamento non cambierebbe nulla. La sanità è solo una grossa industria dalla quale ricavare, voti, soldi e potere ed è solo per questo che la contendono. Ma commissariata o meno, la Calabria dovrà sottostare alle volontà dei potentissimi imprenditori della sanità privata, molti dei quali finanziati dalla ‘ndrangheta, che nel silenzio più becero continuano ad ottenere finanziamenti pubblici per un valore che può essere considerato il doppio rispetto ai fondi necessari per mantenere in vita le strutture pubbliche, nonostante le cliniche private siano originariamente state concepite per supportare il pubblico e decimarne i costi. Tutto questo avviene con la complicità della Regione Calabria, che va sbraitando di catene e proteste, ma in realtà ha concesso fondi come se non ci fosse stato un domani. La cronaca ci è testimone.
Ad ogni modo, il commissariamento in Calabria è stato del tutto inutile, i debiti, infatti non sono diminuiti ma aumentati a dismisura. È solo che da Roma i fili si muovono meglio e tenere gli amministratori da…i polsi a volte aiuta.
Sia ben chiaro: commissariamenti, aperture e chiusure degli ospedali non hanno nulla a che fare con il risanamento del debito pubblico. Le catene nella sanità calabrese, in fin dei conti esistono da un po’, seppur invisibili, e a volte si stringono attorno al collo di chi l’amministra.
Per intenderci, quando nel 2012 hanno chiuso l’ospedale di Praia a Mare per “ridurre i costi pubblici” l’azienda al dicembre 2011 aveva chiuso un bilancio con 3 milioni di euro in attivo e quell’anno fu anche l’unica a cui riuscì l’impresa in quasi tutto il Meridione. Oltretutto chiudere un ospedale di confine ha fatto sì che l’emigrazione sanitaria aumentasse, solo il primo anno, di oltre 270%, con costi per la Regione Calabria inquantificabili.