(Adelaide Vuono nell’immagine di copertina della sua pagina facebook)
Alzi la mano chi non ha avuto almeno una volta nella vita un vicino di casa insopportabile, rumoroso, impiccione, un dirimpettaio, o peggio ancora un coinquilino che ci ha reso la vita un inferno. Allora abbiamo sigillato porte e finestre facendo perdere le tracce, oppure abbiamo fatto le valigie e siamo volati lontano dalla persona con cui dovevamo condividere a forza le mura di casa. Ma quando l’inquilino di troppo ce l’hai dentro, che si fa?
Ha provato a spiegarlo Adelaide Vuono, calabrese originaria della zona ionica oggi residente a Santa Maria del Cedro, scrivendo un libro intitolato, appunto, “Un inquilino di troppo”.
Adelaide due anni fa ha 31 anni, gira il mondo ed è piena di vita. Soprattutto dopo che una serie di storie finite male hanno lasciato spazio a un nuovo, rigenerante rapporto d’amore.
Il suo corpo sembra il ritratto della salute. Una sessantina di chili ben distribuiti su metro e settanta d’altezza, almeno. Le forme, sinuose, anche quelle sono proporzionate a tutto il resto. Fino a un certo punto. Da qualche tempo il seno ha cominciato a dare segni di anomalie. Da un lato c’è un rigonfiamento sospetto che lo rende anche asimmetrico e che però non impensierisce la donna. Che sarà mai?, pensa, una cisti o qualche nervo infiammato. C’è troppa vita da vivere per fermarsi a pensare alle cose brutte.
Ma Saverio, il suo uomo, per fortuna la trascina letteralmente dal medico, contro la sua volontà. La diagnosi arriva immediata ed è raccapricciante: “Sappiamo che un tumore e che è maligno. Dobbiamo solo capire quanto”. Perché in dieci anni che è rimasto imprigionato nel suo corpo, la bestia ne ha fatta di strada. Le metastasi si sono anche avvicinate pericolosamente agli organi vitali. È Una doccia gelata o, come lo descrive meglio lei, un pugno ai denti.
La prima immagine che viene in mente ad Adelaide è una bara aperta, la seconda le lacrime delle persone care a cui non sa come dovrà comunicarlo. Al tempo stesso ha la freddezza di pensare che davanti a sé ha solo due strade percorribili: piangersi addosso e lasciarsi morire o aggrapparsi alla vita e reagire.
Fortunatamente sceglie la seconda. Il suo modo di esorcizzare la paura è raccontare il suo percorso terapeutico, passo passo, sulla pagina facebook.
In poco tempo, il prima possibile, finisce in sala operatoria e si libera in parte di quella massa tumorale a cui vorrebbe tanto consegnare l’avviso di sfratto. Poi segue alla lettera le terapie, radioterapia e chemioterapia insieme, e il suo fidanzato le rasa la chioma a zero prima che lo facessero gli effetti dei medicinali.
Saverio la coccola, la vizia, prova a farla sentire la più bella del mondo anche in quelle mattine in cui guardarsi in faccia è di per sé una sfida contro la sorte.
Ma la forza di volontà della 31enne la si intuisce subito. Il suo corpo dovrebbe essere devastato e invece conserva intatta la bellezza di un tempo. E le viene una voglia sfrenata di dire a tutti che i malati non vanno trattati da malati, che della pietà non sanno che farsene e se i capelli, gli adoratissimi capelli cadono, non vale il concetto secondo cui non importa tanto l’anno prossimo ricrescono. Il tempo è qui e ora, e tu alzi gli occhi allo specchio e vedi una testa tonda, rasata, senza femminilità che, oltre al dolore, ti fa sentire anche brutta e inadeguata. Lo stesso vale per il seno, quando ti dicono che «sei fortunata, se ti operi poi la sanità te lo rifà gratis». Fortunata un cazzo. Tu nella sala operatoria non ci vorresti entrare nemmeno per vedere com’è fatta e invece ci devi stare per forza e ci rimani per delle ore, fino a quando qualcuno ti porterà via la parte migliore migliore di te, per svegliarti poco dopo e non avere il coraggio nemmeno di guardare il tuo corpo senza provare almeno un po’ di imbarazzo. E’ forte Adelaide, ma ha tanta, tanta comprensibile paura. E invece di fare l’eroina dicendo di combattere il cancro con il sorriso, ammette che la sana follia l’ha aiutata soltanto a non perdere il senno. Neppure lei sa com’è rimasta in piedi.
Perché devi avere spalle larghe per ammalarti di tumore, altrimenti rischi di rimanere vittima delle sue conseguenze e perdi di vista il fatto che stai lottando per rimanere viva. Lei che è una testa dura questo l’ha capito e per fregarlo esce, cammina, balla, ride di sé stessa, fa di tutto, seppur scandendo il tempo tra un bilancio e l’altro. Nel suo viaggio per ritornare alla normalità sceglie i medici che le dicono di non sapere come andrà, evitando accuratamente gli altri che le garantiscono di avere tutte le munizioni per la guerra. Non vuole false illusioni.
Ma tanta è la voglia di rimanere viva che il cancro, a un certo punto, o l’amichetto come lo chiama lei, comincia a regredire. Le metastasi che l’avrebbero uccisa in breve tempo, almeno quelle, non ci sono più.
Nelle scorse settimane l’ennesima tac: la bestia dorme, le dicono increduli i medici che la tengono in cura, ma nonostante il piccolo miracolo ancora non si può parlare di guarigione. Dovranno passare almeno altri 8 anni.
È un piccolo passo, va bene, ma lei si sente già una privilegiata. Quando è entrata per la prima volta in un reparto c’erano 40 donne nelle sue stesse condizioni, oggi di quelle guerriere ne sono rimaste poche. Così la giovane decide di mettere nero su bianco la sua esperienza perché altre persone possano trarne forza e speranza.
I suoi pensieri li pubblica Falco Editore, non uno qualunque, e a pagina 100 del libro, al secondo paragrafo, scrive:
“Non fatevi ingannare dall’immagine delle guerriere senza macchia né paura, dai nastrini rosa e dalle vittorie osannate in tv, muoiono ancora tante, troppe donne, di cancro al seno. Io ho ironizzato per non impazzire, ma, non sono ancora viva per questo, non sono migliore di tutte le donne che muoiono, nelle regole del gioco non c’è ironia che tenga.
Devi rispettare il patto solenne che hai firmato venendo al mondo, chi decide di vivere accetta anche di morire!
C’è un momento in cui non c’è niente che tu possa fare se non mollare la presa e gli ormeggi, nessuno può salvarti, nemmeno le mani salde che con certezza e decisione rifiutano di lasciare la presa.
Quando arriverà un colpo un po’ più forte degli altri è un mistero e noi siamo incapaci di risolverlo.
Non ho vinto, ecco, non esiste la vittoria contro di lui, la sogno e la spero, in certe situazioni, sognare non può che far bene.
Continuo a progettare il mio futuro, vivo in questo corpo difettoso perché è l’unico che ho e soprattutto perché dentro c’è la mia anima e quella, quella no che non è difettosa”.
Oggi Adelaide gestisce un agriturismo, dove tra polli e galline, una terapia e l’altra, si è riappropriata di una sorta di normalità, nella speranza che un giorno lo stramaledettissimo inquilino lasci per sempre il suo corpo.