Bella e maledetta. Pensando a lei, sono senz’altro queste le prime parole che ci sovvengono per descriverla. Stiamo parlando della Calabria l’unica terra in grado di farci provare odio e amore nello stesso tempo, l’unica capace di farci versare lacrime dolci dal retrogusto amaro.
Nascere in un posto così non è da tutti; comprenderla, capirla, conoscerla in ogni sua sfaccettatura non sarà mai per tutti. Calabria: posto baciato da un Dio, ma maledetto da qualche altra entità malvagia, invidiosa, beffarda, come Leonida Rèpaci ci descrive nel suo celebre “Quando fu il giorno della Calabria”.
Fin da piccoli, in Calabria, insegnano che se si vuole un futuro bisogna cercarlo altrove, “quanto più ti allontani da lei, tanto più riuscirai a tessere la trama dei tuoi progetti di vita; perché qui non è possibile; qui non cresce nulla; qui ogni germoglio viene estirpato alla radice”.
Ma è davvero così? Davvero non esiste futuro per lei, e per i Calabresi insieme a lei? I dati non sono certo rassicuranti. Secondo il rapporto Svimez, negli ultimi 16 anni, 1 milione e 883mila residenti hanno lasciato il Sud Italia, specie la Calabria, dove si registra un vero e proprio spopolamento. Nulla pare essere cambiato da quando i nostri nonni salpavano per altre terre con una valigia di cartone; a mutare volto sono forse i sogni: ieri si partiva alla ricerca di un lavoro che permettesse di inviare soldi alla famiglia rimasta nel proprio paesello, oggi a lasciare il nucleo familiare non sono i padri, bensì i figli che dopo anni di studio, portano con loro il peso di progetti, senza più l’aspettativa, un giorno, di fare ritorno.
Eppure, più ci si guarda attorno, più ci si rende conto che a morire non è tanto il futuro, quanto la speranza. Non a caso sentiamo sempre più parlare dell’immenso potenziale inespresso della Calabria e di un territorio,quello calabrese, che tanto avrebbe ancora da dare.
Questa terra soffre per anni e anni di cattiva gestione della politica locale, e decenni di assoluto abbandono di interventi nazionali efficienti, di politiche strutturali volte alla crescita nel lungo periodo. La si sente nominare nei salotti che contano solo in prossimità delle elezioni, durante la campagna elettorale, quando, da ogni parte d’Italia, con giacche e cravatte o felpe verdi, personalità di ogni schieramento partitico, si riempiono la bocca di frasi ad effetto con lo scopo di plasmare le teste.
Sempre più politicanti che si dileguano a urne chiuse, quando dai comizi bisogna passare ai fatti, quando ai calabresi a causa del maltempo manca la terra sotto i piedi, quando gli imprenditori finiscono nella morsa mafiosa, quando famiglie piangono lacrime di povertà. I calabresi si ritrovano abbandonati, presto derisi, scherniti se qualcheduno tenta di alzare la testa per rivendicare un proprio diritto, ostacolati se qualchedun altro prova a vedere orizzonti là dove si tenta di innalzare muri.
Quindi, è davvero questo un luogo senza futuro, senza possibilità di crescita? La risposta vive nei calabresi, nelle loro scelte, nella volontà di guardare con nuovi occhi ciò che li circonda.
Un nuovo mosaico del futuro può essere costruito, tutto sta nel posizionare i tasselli al posto giusto; ergersi artefici del cambiamento, senza delegare ad altri, senza aspettare di essere salvati, perché se è vero che i pezzi migliori di questa terra prendono il volo, è anche vero che alcuni di essi tornano con nuove speranze ritrovate. Accorre di nuovo in aiuto il pensiero dello scrittore Rèpaci, parafrasandolo, possiamo giungere alla risposta del nostro quesito iniziale “i mali scatenati su questa terra seguiranno la loro parabola, ma la Calabria raggiungerà la sua felicità. Solo costerà più fatica”.
di Carmen Altilia