Tartufi, bollicine e formaggi. È la Francia? No, la Sila, cuore verde della Calabria

L'articolo è apparso ieri su Repubblica.it a firma di Eugenio Furia

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Il bianco e il nero sono i colori dei tartufi ma anche dell’abete e del pino (il «laricio» secolare e gigante), le tonalità opposte di una Calabria bifronte. Se si descrive la Sila come luogo puro ed esotico, infatti, si rischia l’oleografia: di recente, per dire, il parco nazionale silano è stato inserito fra quelli che l’università australiana del Queensland ha segnalato in rosso come «area ad intensa pressione umana» in uno studio pubblicato sulla rivista Science; ci sono anche Aspromonte e Pollino. Ma la nuova centralità della foresta amata dai romani come dai viaggiatori del Grand Tour è dimostrata dalla prospettiva – per ora solo una chimera – di un mega impianto di campi da golf: facendo leva su una norma regionale da poco approvata, il club che potrebbe trovare spazio in Sila (al momento sarebbero 2 i luoghi individuati dall’immobiliarista italiano, newyorkese d’adozione, Guido George Lombardi) potrà rivolgersi a utenti da tutta l’area mediterranea, dal momento che «ben il 32% di 25 milioni di golfisti ha cancellato dal proprio itinerario Turchia, Egitto e Tunisia per i noti problemi geopolitici», ha detto il consigliere regionale Orlandino Greco, primo firmatario della legge. Non che serva il golf per una vacanza unica: tra cibo, natura, sport e benessere c’è solo da scegliere, alla faccia di chi dice che «in Sila non c’è niente».

Un itinerario gastronomico, e non solo, nell’altopiano più grande d’Europa. Una terra bellissima che merita di essere scoperta, dimenticando luoghi comuni e folklore. E dal 18 luglio altri consigli grazie alla Guida di Repubblica ai sapori e ai piaceri della Calabria.

 

 di EUGENIO FURIA

fonte: La Repubblica.it 

 

In un bar della Sila più profonda, comitive di giovani e anziani trovano a sorpresa una piattaforma comune nel salmodiare che «qui non c’è niente». Sembra un disco rotto. E dire che queste foreste fornivano legna e pece per le navi romane, giusto per dirne una.
Ma oggi? La meta sciistica di pugliesi, siciliani e lucani si sta imponendo come tappa di turismo enogastronomico: addio alla formula trita e ritrita dell’hotel con perline e triste ristorante annesso, gli opinabili «antipasti-tipici-calabresi» anni ’70-80 – affettati, formaggi e sottolio in serie – hanno ceduto il posto a piatti ben più studiati e calibrati.

Dal turismo mordi e fuggi del souvenir di Alfiu ‘u mafiusu con la moglie Rosalia si sta virando verso un’idea di ospitalità e ristorazione più consapevole e ancorata al mix natura-materia prima: chi transita da questo pezzo di Calabria preferisce conoscere la solida cucina di territorio e magari portare via, come souvenir, la sacca con i prodotti locali acquistati in una delle tante botteghe; il caciocavallo eponimo – gli altri sono “silani” solo per disciplinare – ma non solo.

Un pesciolino che sguazza nei torrenti della Sila è una buona notizia perché gli studiosi lo leggono come indicatore di acqua pulita. Nel cuore della regione violentata da rifiuti e abusivismo, il piccolo “spinarello” resiste e aggiorna così il mito dell’aria più salubre d’Italia (a Tirivolo, nel Catanzarese: si dice sia meglio delle Isole Svalbard), primato che qualche anno fa incoronò l’altipiano più vasto d’Europa, quello più a Sud d’Italia, con gli alberi giganti dal record di longevità e via di medaglia in medaglia. Cui da poco bisogna aggiungerne un’altra, degna dei fasti della terra che fu Enotria: lo spumante brut bianco metodo classico prodotto con uve Chardonnay coltivate a 1230 metri d’altitudine. Si chiama AltaQuota, “l’origine del nome sottolinea l’altimetria del vigneto” tra i più elevati nel continente, assicurano Demetrio Stancati e Flaviana Bilotti dall’azienda “Serracavallo”.

Un altro primato? Di certo i due imprenditori cosentini hanno inserito un nuovo tassello nella già ricca ed emergente offerta vitivinicola calabrese: siamo in una regione tra quelle con più vitigni autoctoni in Europa – ancora un primato!, parola dell’enologo Donato Lanati guru del fenomeno Librandi , e il passato racconta di vini calabresi esportati fin dal Medioevo e Rinascimento, favoleggia del Magliocco dolce bevuto alla corte medicea e, indietro nei secoli, del nettare magnogreco dato in premio ai campioni olimpici; tanto che qualcuno ad Acri ha pensato addirittura a un vino “archeologico”. Troppo? Il decano Luciano Pignataro all’ultimo Vinitaly ha messo in guardia: «In Calabria non c’è bisogno di fare Champagne», in effetti basterebbero già i vitigni autoctoni e la potenza di un consorzio come Terre di Cosenza, che ad oggi riunisce una cinquantina di produttori animati da uno spirito collaborativo impensabile fino ad appena un decennio fa.

Ma intanto la pachidermica foresta calabrese corre. Oltre alle bollicine, qui il futuro parla di un gin che sa di torba della Sila. È come se il racconto venisse arricchito dal tocco delle nuove generazioni, trenta-quarantenni che convivono con i vecchi “casari” del luogo e gli epigoni di un’ospitalità secolare: vicino alla stazione di Camigliatello (da qui passa un pittoresco trenino, reso unico dalla stazione a scartamento ridotto più alta d’Europa), la famiglia D’Amico ha appena festeggiato i primi settant’anni di ristorazione di Aquila&Edelweiss. Anche la Tavernetta di Pietro Lecce e della moglie Denise, sulla strada per il lago Cecita, nasce esattamente 70 anni fa: già alimentari e stazione di passaggio, in questo 2018 festeggia due volte perché soffia sulle 30 candeline della ricetta dei ravioloni di porcini al tartufo. Dalla signora Carolina, mamma di Pietro, siamo arrivati alla terza generazione, con Biagio, Emanuele e Carolina junior. Figlie d’arte sono anche le sorelle Alessandra e Federica Falcone, cognome che da queste parti significava solo carne ma oggi è pure un bistrot sul corso principale di Camigliatello: “La trasparenza è il nostro motto… chi meglio di un padre chianchiere?”, sorridono le sorelle commentando una foto del padre macellaio che espone fieramente una sanguinolenta bistecca di podolica.

Sono 4 invece le generazioni di pastori che la famiglia Grillo ha finora schierato nella transumanza dalla Sila allo Jonio: 55 chilometri di tratturi fra la montagna e Rossano, poi, a giugno, il ritorno con le pecore appena tosate. Oggi la tradizione della pastorizia – su cui peraltro è aperto un dossier Unesco – si è evoluta nella produzione di formaggi e latticini, mentre nella Fattoria Biò, dove pecore e capre si affiancano alle razze autoctone di bovini e suini allevati allo stato semi-brado, i Grillo coltivano grano e non solo. Lapatata Igp, che oggi supera i confini regionali ed è presente nella grande distribuzione grazie a produttori finalmente consorziati, è la regina dei piatti proposti nell’agriturismo da Mario Grillo, “agriche”» che ha lasciato la banca per tornare da papà Tommaso, all’azienda di famiglia. Francesco, uno dei 4 fratelli, il giorno di San Valentino fa gli auguri all’asina sui social: se non è amore questo. I prodotti della Fattoria Biò si trovano, oltre che in azienda, nei punti vendita di Rossano e Cosenza. Nel capoluogo bruzio si può optare anche per l’Alta Gastronomia Campanaro 1935, altro marchio storico e pluridecennale sinonimo di gusto con radici ben piantate a Camigliatello.

Ecco come impostare un itinerario silano partendo proprio da Cosenza. Anzitutto, lungo la statale 107 Paola-Crotone – un altro coast to coast ricco di sorprese – è obbligatoria la tappa nella pasticceria San Francesco di Spezzano Sila: i fratelli Damiano e Valentino Rizzo di anni d’attività ne festeggiano 20. Poco più avanti, sempre nella Presila cosentina, ecco il salumificio San Vincenzo, azienda da grandi numeri nell’export che da poco ha fatto il bis con il punto vendita su via Roma: siamo così tornati a Camigliatello, dove da visitare c’è anche il nuovissimo Mercato Silano che nel dismesso Consorzio Agrario “si propone di azzerare le distanze tra produttore e consumatore”. Superata Camigliatello, ci si avvia verso i luoghi dell’Abate Gioacchino a San Giovanni in Fiore: il casaro Antonio Arnone(azienda Vallefiore) vi accoglierà con un tocco del suo formaggio di capra stagionato 20 mesi, da addolcire magari con una confettura di cipolle di Tropea. Poco lontano, un’oasi per il palato e il corpo è Biafora, felice abbinamento tra Spa e cucina gourmet, mentre a Lorica merita una sosta il Brillo parlante [www.ilbrilloparlantelorica.it] per una grigliata al volo e una birra artigianale calabrese vista lago Arvo. Il fondo del Cecita, invece, ha da poco restituito il primo scheletro completo di Elephas Antiquus mai trovato in Italia: nel regno dei lupi e dello scoiattolo nero si muoveva un elefante preistorico parente del mammut. L’ultima sorpresa.

Eppure percorrendo la Sila in bici o lungo i tragitti suggeriti dal Cai – il sentiero “Italia” è uno degli 80 per un totale di 700 km – si ha l’impressione di trovarsi in un luogo che non ha ancora consapevolezza dei propri primati e potenzialità: oggi l’ente parco si batte per la candidatura Unesco a patrimonio mondiale dell’umanità, dopo che nel 2014 la Sila è già stata dichiarata prima riserva della biosfera in Calabria.

La Sila è in realtà tre montagne assieme. Foresta una e trina. Con la Grande – quella a maggiore vocazione turistica – ci sono la Greca, che guarda allo Jonio, e la Piccola, propaggine catanzarese che sul versante tirrenico ingloba un habitat unico come il Reventino: zona di tartufi e nicchie da visitare come la Rosa nel bicchiere a Soveria Mannelli, dal titolo di una poesia del lametino Franco Costabile che ricorda un’usanza di ospitalità e accoglienza praticata dalle donne di un tempo.

Il bianco e il nero sono i colori dei tartufi ma anche dell’abete e del pino (il «laricio» secolare e gigante), le tonalità opposte di una Calabria bifronte. Se si descrive la Sila come luogo puro ed esotico, infatti, si rischia l’oleografia: di recente, per dire, il parco nazionale silano è stato inserito fra quelli che l’università australiana del Queensland ha segnalato in rosso come «area ad intensa pressione umana» in uno studio pubblicato sulla rivista Science; ci sono anche Aspromonte e Pollino.
Ma la nuova centralità della foresta amata dai romani come dai viaggiatori del Grand Tour è dimostrata dalla prospettiva – per ora solo una chimera – di un mega impianto di campi da golf: facendo leva su una norma regionale da poco approvata, il club che potrebbe trovare spazio in Sila (al momento sarebbero 2 i luoghi individuati dall’immobiliarista italiano, newyorkese d’adozione, Guido George Lombardi) potrà rivolgersi a utenti da tutta l’area mediterranea, dal momento che «ben il 32% di 25 milioni di golfisti ha cancellato dal proprio itinerario Turchia, Egitto e Tunisia per i noti problemi geopolitici», ha detto il consigliere regionale Orlandino Greco, primo firmatario della legge. Non che serva il golf per una vacanza unica: tra cibo, natura, sport e benessere c’è solo da scegliere, alla faccia di chi dice che «in Sila non c’è niente».

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