Quello di Paola è l’ospedale più insicuro della Calabria. Già nel 1999 il rapporto di Franco Barberi, allora sottosegretario alla Protezione Civile, lo allocò al settimo posto per pericolosità tra le strutture pubbliche calabresi e al primo posto in assoluto per quanto riguarda gli ospedali.
Da allora le cose sono cambiate, ma in peggio, e la faraonica struttura costruita su una faglia, è stata catalogata come R4, ovvero massimo rischio idrogeologico. Il risultato è una frana che negli anni ha raggiunto il parcheggio e cammina spedita verso il pronto soccorso. Ma siccome questo non è il solo primato dell’ospedale della città del santo, nessuno vede niente e nessuno interviene. Negli ambienti lo sanno tutti e ce lo confermano fonti autorevoli: alcuni medici e alcuni dirigenti che operano al suo interno sono tra i massoni più potenti della costa e pertanto nessuno può osare mettere mani sullo stabile.
Prova ne è che tutto ciò che è stato fatto in questi anni, dalle indagini alle rilevazioni geologiche con tanto di strumentazione di ultima generazione, sono risultate del tutto inutili. Geologi e magistrati se la cantano e se la suonano da soli, mentre ospedali come quelli di Praia, contrariamente tra i più affidabili, rimangono chiusi per consentire i porci comodi di qualche mafio-politico tanto potente da porre un veto su una incontrovertibile sentenza del Consiglio di Stato. Come dire, innanzi a tanto potere deviato e trasversale neanche il più alto tribunale amministrativo dello Stato può nulla.
Ma la magistratura, non paga, ogni tanto ci ritenta e cerca di indagare. Lo scorso novembre i Nas, unitamente a un gruppo speciale di Catanzaro, si sono introdotti nel nosocomio a seguito di precise e dettagliate denunce di cui noi de La Lince siamo a conoscenza da tempo.
Tra le tante controversie, l’esposto avrebbe messo in evidenza macchinari e strumenti obsoleti, scarsa igiene e persino un alto numero di morti sospette avvenuta entro le mura della sala operatoria.
Ma i risultati dove sono? Stavolta arriveranno? Quando saranno resi pubblici? Chi ci dirà in che condizioni hanno ridotta la sanità? Chi si offrirà di spiegarci l’alta concentrazione di presunti casi di morti sospette? E chi deciderà se è tutto a norma o meno?
A due mesi dall’incursione, forse anche per via dei tempi relativi alle indagini, tutto tace. Ma sembra comunque che avremo da aspettare a lungo.