(Nella foto. Nora Bloise. Fonte foto: Fondazione Veronesi)
Nora Bloise nasce a Belvedere Marittimo (CS) nel 1983, ma cresce a Papasidero (Cs), Comune dell’entroterra calabrese di poco più di 700 anime. Si laurea in Biotecnologie Mediche all’Università degli Studi di Firenze si specializza in Scienze Biomediche all’Università degli Studi di Pavia.
Da qualche settimana il suo nome sta calcando le cronache nazionali perché sta sviluppando un trasportatore per indirizzare i chemioterapici direttamente nel cuore delle cellule tumorali. Il che, in altri termini, significa una nuova speranza per la lotta contro il tumore al seno. Una notizia che per la Calabria martoriata, bella e maledetta, è molto più di una buona novella. Ha quasi il sapore del riscatto sociale.
“Il tumore al seno è tuttora la neoplasia più frequente nella popolazione femminile – è scritto sulla pagine dei sito della Fondazione Veronesi -. Ma la ricerca non si ferma. Un nuovo filone, noto come «nanomedicina», sta ottenendo promettenti risultati in campo oncologico attraverso sistemi in grado di riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Nora Bloise, biotecnologa calabrese al lavoro presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università degli Studi di Pavia, sta applicando questo approccio alla cura del tumore al seno, sostenuta dalla Fondazione Umberto Veronesi grazie al progetto «Pink is good»”.
Chiara Segré, biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza nel cassetto, l’ha intervistata qualche settimana addietro.
Di seguito l’articolo pubblicato sul sito ufficiale della Fondazione Veronesi.
Nora, in cosa consiste il tuo progetto di «nanomedicina»?
«Sto sviluppando un nanovettore biocompatibile, in grado di attraversare i tessuti, intercettare e colpire solo le cellule tumorali. L’idea è di produrre un sistema formato da atomi d’oro e polimeri non tossici per l’organismo umano, e arricchirlo in superficie di molecole ad azione antitumorale e capaci di riconoscere le alterazioni di una cellula cancerosa».
Cos’è un nanovettore?
«Sono strutture molecolari molto piccole in grado di funzionare da “trasportatori” per altre molecole, ad esempio i farmaci. Il vettore che sto sviluppando ha un diametro di 4-100 nanometri. Un nanometro equivale a un milionesimo di millimetro».
L’obiettivo è quindi quello di trattare meglio e con più precisione il tumore al seno?
«Esatto. Una volta sviluppato il vettore, si dovrebbero ottenere due risultati: circoscrivere la massa tumorale e determinarne la morte. Questo anche grazie alla componente d’oro che, potendo essere surriscaldata con luce laser, danneggia irreversibilmente le cellule neoplastiche. Lo studio prevedrà la sintesi e caratterizzazione chimico-fisica del nanovettore, la sua coniugazione con farmaci anti-tumorali come il trastuzumab o la lectina, e la verifica della sua efficacia in vitro su cellule di tumore mammario».
Quali prospettive aprirà, anche a lungo termine, per la salute delle donne?
«A lungo termine si potranno avere importanti ricadute cliniche: l’aumento dell’efficacia e della selettività del trattamento terapeutico, che permetterebbe una riduzione della quantità di farmaco antitumorale per la paziente, con un miglioramento della qualità di vita. Potrebbe anche essere usata nella diagnosi precoce».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«Curiosità, scoperta, nuove conoscenza, progresso umano e sociale».
Quando hai capito che la tua strada era quella della scienza?
«Ho sempre voluto fare un lavoro che avesse a che fare con la scienza e la medicina. Da piccola sognavo di diventare un medico pediatra, poi crescendo ho sviluppato sempre più l’interesse per la ricerca, e per lo studio dei tumori in particolare, al punto che me ne occupai persino nella tesina per l’esame di maturità».
Hai comunque realizzato anche il sogno di aiutare i bambini malati.
«Sì, ho fatto volontariato in ospedale nei reparti pediatrici».
Qual è il lato negativo del tuo lavoro?
«La corsa a ostacoli per superare la condizione di “precarietà”. Alla lunga questo percorso può diventare logorante e far vacillare le proprie certezze per il proprio futuro. La speranza è comunque sempre in un lieto fine».
Una figura che ti ha ispirato nella tua vita.
«Senza ombra di dubbio i miei meravigliosi genitori».
Una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita.
«Un viaggio a Capo Nord per vedere la luce del sole di mezzanotte con mamma e papà».
Un ricordo a te caro di quando eri bambina.
«Il cielo stellato d’estate che osservavo curiosa quando mio nonno spingeva il passeggino per riportare a casa mia sorella ed io. Le filastrocche di mia nonna e il canto delle cicale incorniciavano l’atmosfera. Indimenticabile».