(Fonte foto: dal web)
Cara direttrice,
quando ci si trova di fronte ad una persona che è caduta nel mondo degli stupefacenti, “tutte le agenzie educative con le quali il soggetto è venuto in contatto dovrebbero esaminarsi per appurare le proprie responsabilità”. E’ necessario iniziare a porre al centro del problema non la sostanza stupefacente ma l’uomo che la usa e la sua spinta ad utilizzarla. William Burroughs, nel suo capolavoro la “Scimmia sulla schiena”, diceva che “si scivola nel vizio degli stupefacenti perché non si hanno forti moventi in alcun’altra direzione. La droga trionfa per difetto”.
Il fenomeno della droga è sintomo di un malessere profondo che influenza la cultura e l’etica, supera i limiti di una questione sanitaria o di un problema settoriale.
La droga è allo stesso tempo frutto e causa di un grande smarrimento etico e di una crescente disintegrazione sociale. I nuovi tossicodipendenti, quelli delle nuove droghe, sono distanti dai contesti di emarginazione e raramente compiono reati connessi con l’uso di droga. Hanno tra i quindici e i ventotto anni e appartengono a tutte le classi sociali. Sono ragazzi normali, di quelli che si possono incontrare passeggiando per le vie del centro.
Questi giovani non si considerano tossicodipendenti perché, purtroppo, spesso si associa questo stato a quello dell’eroinomane, considerato da loro soggetto marginale e senza speranza. Un mondo distante da loro.
Queste droghe, non allarmano il pubblico adulto, perché non associati all’angoscia, alla crisi di astinenza, alla devianza, al carcere, alla malattia e alla morte. Il problema è che chi cala, sniffa e fuma dà socialmente meno fastidio.
Educare, prevenire, curare. Non incarcerare. Questa può essere la ricetta da cui partire.
A. Z.