Almeno 832 morti e centinaia di feriti, ma la sensazione è che alla fine le vittime si conteranno a migliaia. A ventiquattro ore dal doppio disastro che in Indonesia ha colpito la parte centrale dell’isola di Sulawesi, prima con due scosse fortissime di terremoto, di cui la seconda di magnitudo 7.5, e poi con uno tsunami, la devastazione si sta rivelando in tutta la sua entità con il passare delle ore. Al largo sono stati avvistati cadaveri e si teme che in moltissimi possano essere stati trascinati in mare.
Mentre i soccorritori, rallentati da infrastrutture semi-distrutte, non hanno ancora potuto raggiungere ampie aree di una fascia costiera dove vivono 600 mila persone. A Palu, la capitale provinciale, il fango si mescola con i detriti di migliaia di case spazzate via dalla furia delle acque dopo che erano già crollate per la furia del terremoto. Solo due delle sette centrali della zona sono state rimesse in funzione: corrente elettrica, acqua e telecomunicazioni sono in gran parte ancora fuori uso. Centinaia di corpi sono stati allineati lungo le strade e ricoperti con un lenzuolo, mentre i feriti vengono curati su lettini improvvisati all’aperto perché gli ospedali cittadini hanno subito estesi crolli. C’è bisogno di tutto: dai viveri alle tende, dalle medicine al personale medico.
Ma i soccorsi vanno a rilento. A Palu è crollato il principale ponte, lungo 126 metri, che collega le due parti della città. Con l’aeroporto danneggiato dal sisma, gli aerei da trasporto Hercules e gli elicotteri hanno un’operatività limitata. Più ci si avvicina all’epicentro, a 27 chilometri dalla città costiera di Donggala (300 mila abitanti), più le strade sono interrotte da frane o da squarci nel manto stradale. Una fascia costiera devastata lunga decina di chilometri è in sostanza ancora isolata. Il presidente indonesiano, Joko Widodo, ha incaricato l’esercito di contribuire ai soccorsi, ma non è chiaro se i militari siano già arrivati in zona.
Manca una stima ufficiale dei dispersi. C’è particolare preoccupazione per i partecipanti a un festival sulla spiaggia, stimati in centinaia, che era in procinto di iniziare quando lo tsunami ha colpito. Uno dei principali hotel di Palu, 80 camere quasi tutte occupate, è crollato, così come il più grande centro commerciale della città da 350 mila abitanti. Il crollo del muro di prigione ha consentito inoltre a 560 detenuti di scappare. Ma data la situazione, cercarli non è una priorità delle autorità. La particolare posizione geografica di Palu, situata sulla punta meridionale di uno stretto golfo, potrebbe aver ampliato la forza distruttiva dello tsunami. Si crede che il maremoto si possa essere incanalato nella baia, senza aver modo di disperdere parte della sua potenza. Mentre le autorità parlano di onde alte fino a due metri, media locali riportano altri funzionari che raccontano di un muro d’acqua alto oltre cinque metri in alcuni punti della baia. Se il bilancio si conterà in migliaia di vittime, come temono le autorità, si tratterebbe della più disastrosa catastrofe naturale nel Paese dallo tsunami del 26 dicembre 2004, che uccise circa 170 mila persone nella sola provincia di Aceh.
La frequenza dei terremoti in Indonesia è dovuta al fatto che l’arcipelago di 17 mila isole si estende lungo l’Anello di fuoco, una cintura di faglie sismiche che abbraccia l’Oceano Pacifico e ospita oltre metà dei vulcani attivi nel mondo. Tra tanta devastazione, i media indonesiani hanno riportato la storia di un eroe, un giovane controllore di volo di 21 anni che è rimasto nella torre di controllo mentre la terra tremava, finché non è decollato un jet a cui stava impartendo istruzioni. Mentre la struttura crollava, il ragazzo è saltato dal quarto piano, morendo per le fratture riportate poco prima di essere portato in ospedale. L’aereo, almeno, è decollato in sicurezza.