Economia orizzontale, nuova rinascita del meridione, Mezzogiorno quale fulcro della nuova economia mediterranea: sono questi i titoli con cui negli ultimi anni la politica ha descritto un Sud voglioso di conquistare primati che sono alla sua portata. Nel contempo da qualche parte, qualcuno (tra cui il sottoscritto) ha sempre ritenuto che la vera sfida del rilancio economico delle nostre terre passi necessariamente per la questione lavoro. Oggi (come ogni anno) il rapporto Svimez ufficializza la fine del periodo di tempo dedicato alle chiacchiere: secondo il report infatti “ il numero di famiglie in cerca di occupazione è passato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila. Il numero di famiglie senza nessun occupato è cresciuto anche nel 2017 del 2% ogni anno.”
Il numero dei non occupati è dunque raddoppiato nonostante incentivi, formule di politica economica in saldo, promesse elettorali, sindaci ribelli, dicasteri innovativi. Chiacchiere al vento che non hanno altra chiave di lettura che la più ovvia: in assenza di un piano reale di infrastrutture e programmi capaci di impattare sul territorio, il lavoro rimarrà chimera almeno nella sua concezione tradizionale. E’ questo il risultato di un Sud che immagina di vivere di turismo, che ha nella politica dei B&B la nuova frontiera dell’occupazione zero. E’ il risultato delle start-up quali ammortizzatori sociali, della povertà di idee e cassa della pubblica amministrazione e dell’assoluta incapacità di pubblico e privato di fare rete reale per lo sviluppo. E’ la dichiarazione numerica di resa di una politica sempre più protagonista su FB e sempre meno attenta alle reali dinamiche sociali.
In questo quadro drammatico disegnato da Svimez con dati inoppugnabili, cifre che vanno a supportare un altro dato recente ossia la desertificazione imprenditoriale del Sud, appare indispensabile una presa di coscienza dell’emergenza occupazionale ed una immediata risposta da parte di Amministrazione centrale e di quelle locali.
Il governo ha oggi più che mai il compito di rilanciare realmente il Mezzogiorno, prima vittima sacrificale del fenomeno dell’unità d’Italia nel 1861, sacrificato una seconda volta contestualmente all’ascesa della Lega Nord al potere dal fenomeno “tangentopoli” in avanti. Con la crescita dell’ex partito di Bossi infatti l’intero asse di interesse nazionale si è spostato sul centro nord, con il Sud vera e propria “riserva” di voti in cui con avvenenti promesse elettorali costruire ai danni dei più la carriera di pochi. Ogni politico meridionale eletto negli ultimi 20 anni dovrebbe sentire il peso dell’inespresso valore del suo mandato davanti a dati terrificanti. Eppure il Sud ha avuto altissimi rappresentati nei governi di ogni colore e direzione. Arrivati al dunque tuttavia, non si è riusciti a mettere in piedi politiche reali di tutela e rilancio dell’economia meridionale.
L’intero Mezzogiorno è stato considerato addirittura un “peso” per la competitività con lo svuotamento di risorse economiche e finanziarie più o meno costante. Nel contempo anche la “nuova politica” è stata più attenta alla contestazione di presunte leadership rispetto alla costruzione di un’economia meridionale in grado di offrire futuro ai giovani ed anche ai meno giovani.
Nessuna terra può evolversi oggi senza il supporto delle nuove generazioni, che non sembrano (giustamente dati alla mano) avere quella forza dirompente nelle scelte e considerazioni in grado di dare al Sud la giusta forza propulsiva. E’ desertificazione di idee, di opportunità , di volontà reale di cambiare un destino che appare sempre di più scritto e che di fatto divide il Paese in cluster sempre più lontani economicamente, socialmente e culturalmente. Ciò che il sistema pubblico investe da Roma in giù in termini di formazione delle nuove generazioni va a generare PIL di altre regioni. Un complesso e contorto meccanismo di eutanasia economica che non può più essere sottovalutato.
Non vanno inoltre sottovalutate le infrastrutture, intendendo con queste quelle reali (strade, porti , etc..) e di nuova generazione (telecomunicazioni). Sotto questi aspetti l’arretratezza del Sud è direttamente proporzionale al menefreghismo della sua classe politica dirigente . Sembra di poter dire che Cristo si è fermato ad Eboli per l’assoluta incapacità di chi governa di prevedere uno sviluppo condiviso. Attenzione: questo non significa che non esista nelle nostre Terre qualità . E’ oggi vero un discorso molto più complesso: la qualità non emerge o emerge con difficoltà per la mancanza di un’ottica di sistema in grado di mettere in una sola equazione con risultato sviluppo i comparti artigianato, commercio, industria e servizi. Tante, troppe individualità fagocitate e fagocitabili da un’economia sempre più globale. In una famosa rappresentazione cinematografica della vita di Toro Seduto, l’interprete del grande capo indiano affermava “chi farebbe figli sapendo di non poterli sfamare su queste terre inaridite dall’uomo bianco?”. Siamo al punto di svolta: l’assoluta assenza di programmazione fa del Sud una riserva. Bella, culturalmente unica, potenzialmente da primato ma oggi in condizione di sottosviluppo. Se l’elettorato non inizierà a pretendere dai proprio rappresentanti una inversione di tendenza, ogni rapporto Svimez sarà un necrologio e l’opportunità per chi sul Sud ed al Sud ha speculato di argomentare in maniera assolutamente impropria su improvvisate soluzioni di sviluppo che sono di reale interesse solo per una parte del Paese (e non certo al Mezzogiorno).
di Leonardo Lasala