Ci risiamo. Anche quest’anno la stagione estiva è alle porte e la litania è già cominciata da settimane: «Il lavoro c’è, ma la vagabondaggine di più». Da Tortora in giù è tutta una lamentela, tutti cercano lavoratori, molto spesso improvvisati per lavori che richiederebbero corsi e aggiornamenti, ma nessuno ne trova. Basti pensare che nella sola Praia a Mare, che solitamente si attiva in autunno per i mesi successivi, ancora oggi molti imprenditori, presunti o aspiranti tali, sul web sono alla spasmodica ricerca del capitale umano che da giugno a settembre inoltrato dovrà servire a incrementare i loro affari.
Alcuni di loro hanno ragione da vendere. A fronte di un buono stipendio e la garanzia di ogni diritto, ci sono mansioni che nessuno vuole più svolgere nemmeno per 90 giorni, perché se il mito del posto fisso è ormai definitivamente crollato, l’idea propinata dal web che ci siano delle attività che facciano diventare ricchi standosene comodamente stravaccati su una comoda poltrona, va via via consolidandosi. Ma la realtà, purtroppo, fa molto spesso a pugni con i desideri reconditi di ognuno e in questa società dai ritmi infernali non sempre volere è potere.
Così bisogna rimboccarsi le maniche e sacrificarsi, lavorare sodo per qualche mese per sottrarsi allo stallo economico dei paesini di provincia o di un territorio dalle infinite possibilità ma gestito male e amministrato ancora peggio. La stagione estiva nelle zone del Tirreno cosentino è da sempre considerata una boccata di ossigeno per commercianti soffocati dai debiti maturati durante l’inverno, giovani che devono mantenersi agli studi, ma anche per quelle tante madri e tanti padri che hanno perso il lavoro o che ne cercano uno senza mai trovarne.
E sono tanti, tantissimi. Gente dotata di buona volontà e pazienza che pur di arrivare a fine mese, di ritagliarsi un briciolo di dignità in un quadro economico disastroso, è disposta ad accantonare sogni e ambizioni e accettare qualsivoglia lavoro. Ma i compensi sono da fame. E “diritto” è molto spesso una parola dal significato sconosciuto che suona male alle orecchie di ricchi e facoltosi imprenditori.
Nelle scorse settimane, noi de La Lince abbiamo fatto un giro nella riviera dei Cedri e tra le centinaia di strutture ricettive in regola e datori di lavoro onesti e coscienziosi, ad onor del vero molti di più degli anni passati, abbiamo anche trovato decine di testimonianze da rabbrividire. Altro che vagabondaggine.
Le nostre fonti parlano di proprietari di locali o stabilimenti balneari della costa che nei tre mesi estivi macinano centinaia di migliaia di euro ma che ai «vagabondi che non vogliono lavorare» offrono compensi da fame, tanto che chiedere l’elemosina davanti alle chiese frutterebbe di più.
Per 10/12 ore di lavoro c’è chi arriva a proporre uno “stipendio” di 400 o al massimo 500 euro al mese, ma c’è anche chi è costretto a lavorare per 15 ore e tutte di fila, in palese violazione delle più elementari leggi che regolano il mondo del lavoro. Si pretende che il dipendente lavori sette giorni su sette, senza mai riposare, esposti a temperature altissime, sotto una guida hitleriana alla quale non puoi osare opporti perché in una terra dove si soffre la fame chi ti fa lavorare è convinto di essere il tuo padrone.
Per onestà intellettuale dobbiamo dirvi che questi casi, per fortuna, sono sporadici, e che gli stipendi si aggirano mediamente intorno agli 800/900 euro al mese, c’è chi ne prende 700 e chi 1000, ma il problema più grave è e rimane quello del mancato riconoscimento dei diritti. Zero contratti, zero contributi versati, tanto la pensione ormai chi la vede più, zero turni, zero dispositivi per la sicurezza, zero possibilità di accendere ai fondi per la disoccupazione, se per caso subisci un infortunio te ne vai a casa e tante grazie, ma fa lo stesso se una mattina il datore di lavoro si alza e decide che gli vai più bene. Altro che licenziamento per giusta causa.
Per questo, e per tanti altri motivi, c’è un esercito di lavoratori che fortunatamente oggi si rifiuta di sottostare a queste leggi non scritte della libera imprenditoria di questo posto, per non diventare succubi e schiavi di un sistema putrefatto ma raramente punito negli anni. Altro che vagabondi.
Dal canto loro, però, gli imprenditori a loro volta si dicono strozzati dalla pressione fiscale e dalla totale mancanza di incentivi per lo sviluppo dell’imprenditoria da parte dello Stato. Alcuni di loro lottano per garantire comunque uno stipendio agli assunti, altri la usano come una vera e propria e scusa per eludere tasse e guadagnare sulle spalle di persone bisognose e non. Sono ancora tanti, sono ancora troppi. C’è persino chi punta il dito contro i numerosi “vagabondi” della costa tirrenica che non vogliono lavorare ma poi sottraggono dai già miseri stipendi anche il costo di una bottiglia acqua d’acqua che consumano durante le ore di lavoro, acquistata all’ingrosso a pochi centesimi.
Questa è la sacrosanta verità. Tutto il resto è ignobile polemica.