Dal paesino calabrese alla catena di pizzerie in tutta Italia: la favola di Berberè

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Dal paesino calabrese alla catena di pizzerie in tutta Italia: la favola di Berberè

Dal 2010 il progetto dei fratelli Aloe, originari di Maida, nel Catanzarese, ha fatto tanta strada. A Roma il settimo locale: ecco la loro filosofia tra menu stagionali e impasti alternativi e originali
 
di GIULIA MANCINI
(La Repubblica) – Il nome evoca i profumi speziati di una cucina del Corno d’Africa, la miscela di spezie tradizionali in cui ogni parte contribuisce al sapore e di cui ogni casa ha una ricetta personale; nome insolito per una pizzeria, ma sentir parlare Matteo Aloe spiega un po’ di cose. Una storia che viene da lontano, non così tanto come l’Africa, in cui i tanti ingredienti di una giovane vita, che compongono il mosaico di Berberè, insieme al mix di competenze e professionalità rendono il progetto saldo.
Studente fuori sede, dopo aver lasciato la sua casa in Calabria alla volta di Bologna, si impegna negli esami di Economia senza mai trascurare la passione per la cucina. “Se un giorno dovrò gestire un ristorante, saprò leggere un bilancio”: questo pensava quando si avvicendava tra i banchi di università e gli esami. Gli studi lo portano a discutere una tesi su Davide Oldani: studia e descrive il D’O, ristorante di Cornaredo, come caso di marketing per il menu a cifre accessibili in confronto a come, spesso, la mancanza di cultura manageriale sia un problema nelle attività ristorative.
Così, finita l’università, insieme al fratello Salvatore apre la prima pizzeria a Castel Maggiore, dentro un centro commerciale; fu inizialmente poco apprezzata dai clienti che preferivano le proposte di fast food, ma convinti della loro scelta, i fratelli stringono i denti. “Ci è voluta incoscienza, è servita anche un po’ di fortuna, avevo ventiquattro anni e nulla da perdere”:  Matteo ricorda quei giorni con gli occhi che oggi sorridono al pensiero degli inizi. Non sono passati tanti anni da quella apertura, eppure dal 2010 a oggi sono giunti ad avere sette pizzerie in Italia e una partnership con Alce Nero che contribuisce alla selezione e fornitura dei prodotti biologici e due locali a Londra, “che però non hanno lo stesso nome, era troppo difficile da pronunciare per gli inglesi” sottolinea scherzosamente Aloe. Non un franchising: “Abbiamo 83 dipendenti diretti. La formazione dei ragazzi che lavorano con noi è la parte essenziale”. E si vede nel laboratorio di impasto e lievitazione: le ricette sono a vista nella nuova pizzeria di Roma, le dosi e i tempi appuntati su fogli a vista, nessun segreto ma solo la condivisione dell’esperienza maturata fin qui.
 
Berberè
Condivisione è la parola chiave anche nell’offerta al cliente: questo spirito di comunione si rispecchia nelle pizze, che giungono a tavola già spicchiate. “Ci piace pensare che i nostri clienti possano assaggiare più gusti, scegliere sapori diversi e divertirsi nell’alternanza; la pizza pensiamo sia e debba rimanere un piatto pop, popolare, e per quanto scegliamo con cura i condimenti, non vogliamo sovraccaricare il palato, cercando anche di contenere i prezzi”.
Menu di 15 pizze rigorosamente stagionali, che segue l’avvicendarsi delle verdure – e fa il paio con la scelta dei fornitori che garantiscono l’origine biologica – come per la pizza con zucca arrostita, funghi misti e taleggio che nel nuovo menu segna l’arrivo dell’autunno. Sapore di calda accoglienza anche per la guarnitura di patate al forno, pancetta arrotolata e fiordilatte. Particolare suggestione per la ricetta con crema di barbabietola, cipolla bianca saltata e olive taggiasche, nella voglia di sperimentare, un tantino dolce forse per chi si aspetta un sapore più deciso, ma pensata anche per incuriosire con una novità i vegetariani, oltre alla classica margherita in cui l’acidità del pomodoro scelto si fonde egregiamente con la mozzarella e il basilico.
Forno elettrico per scelta, per garantire il massimo controllo della temperatura, impasto realizzato con lievito madre e lunghi tempi di lievitazione – almeno 24 ore a temperatura controllata – steso non sottile che consente il formarsi di una crosta sottile e croccante all’esterno con una sofficità interna che non appesantisce il morso. E nemmeno la digestione. “Abbiamo voluto anche inserire un impasto con farine semintegrali, con cereali integrali come l’enkir o il grano Senatore Cappelli e abbiamo pure un impasto con metodo di fermentazione totalmente privo di lievito, basato sull’idrolisi degli amidi” sottolinea Matteo Aloe. Proprio questo non è disponibile sempre, anche a tutela del cliente “perchè quando non parte la lievitazione non possiamo farci nulla, non avremo quell’impasto per la serata” come ammette con schiettezza e trasparenza. Ed è la vera sorpresa di Berberè, che da pochi mesi ha aperto anche a Roma con le sue linee di arredamento pulite e dai colori chiari in zona Porta Pia, soprattutto quando si unisce alla coppa di Mora Romagnola, stracciatella e olio profumato all’arancia.
 
pizza Berberè
“Siamo originari di Maida, in provincia di Catanzaro, un paese che ha come simbolo una donna che brandisce una spada per difendere il pane”, chiosa Aloe, e viene da pensare che la strada sia lunga e che il destino di questi due fratelli tra farine e lievito fosse segnato già prima che lo sapessero.


Dove: 
Berberè 
Via Mantova, 5 – Roma
Aperto tutti i giorni
Lunedì – Venerdì: 19:30 – 23:30
Sabato e Domenica: 12:30 – 14:30 / 19:30 – 23:30

 

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