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Bari, la mamma di un bambino disabile: «Il prete non lo vuole in chiesa, darebbe fastidio»

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Bari, la mamma di un bambino disabile: «Il prete non lo vuole in chiesa, darebbe fastidio»
(Fonte foto: La Repubblica)

A chiudere la porta in faccia a un bambino con un lieve ritardo cognitivo e un deficit comportamentale è la parrocchia Santa Croce. Il sacerdote: “Polemica artificiosa e scaturita da un equivoco”

di MARA CHIARELLI

Niente sacramenti perché “la sua presenza durante la messa della domenica può disturbare gli altri bambini”. A chiudere la porta in faccia a un bambino con un lieve ritardo cognitivo e un deficit comportamentale è la parrocchia Santa Croce, in via Crisanzio, nel cuore del quartiere murattiano di Bari.
Antonio (un nome di fantasia), dieci anni, frequenta la quarta elementare. Spesso ha necessità di parlare a voce alta anche durante le lezioni o di alzarsi dal banco. Non vede bene, distingue le persone con il tatto e dall’odore. E quando vuole le coccole muove il naso e dice: “Mamma, facciamo i cagnolini?”. Studia, va a cavallo, ha tanti amici che lo invitano alle feste, ma non può frequentare il catechismo nella stessa parrocchia dei suoi compagni di classe perché, è stato detto, “la sua presenza non permetterebbe agli altri bambini di seguire la celebrazione della messa”.
Una storia di mancata inclusione che sua madre M.R. non può accettare: “Non punto il dito contro nessuno – precisa – Ma voglio che mi si spieghi quello che, nonostante tante parole, non sono riuscita a capire”. E che comincia un anno fa, quando la donna partecipa a un incontro di mamme: “In quell’occasione il parroco mi disse che ne avremmo dovuto riparlare in privato – racconta – Preferii lasciar perdere. Ma quest’anno si trattava di iscrivere anche l’altro mio figlio di otto anni. E allora ci ho riprovato”.
A fine settembre incontra don Vito Marziliano in parrocchia: “Con me c’era un’amica, volevo essere certa che ci fosse una persona più obiettiva di me. Lui non si ricordava e mi ha chiesto che problemi avesse Antonio – spiega – Poi ha aggiunto: “Non ho esperienza con questi soggetti”. Io gli ho assicurato che il bambino avrebbe avuto sempre l’assistenza di un’educatrice”. Poi cominciano le domande: “Mi ha chiesto se l’educatrice riuscirebbe a far capire a mio figlio il messaggio cristiano e se lui ha necessità di alzare la voce o alzarsi spesso. E che in quel caso – racconta ancora M. – sarebbe stato difficile farlo partecipare anche alla messa”.
Il tentativo di mediare da parte di sua madre (“posso portarlo fuori di tanto in tanto”) non sortisce effetto: “Mi ha detto che dopo tanti anni è finalmente riuscito a costruire un folto gruppo di bambini: la presenza di Antonio durante la funzione della domenica li avrebbe disturbati. A quel punto si è ricordato di me, dicendo che l’anno scorso Antonio ci aveva impedito di parlare”. Poi, nonostante le domande di M. e della sua amica, il caso si chiude: “Si è stretto nelle spalle, dicendo che non saprebbe proprio come comportarsi”.
Il diniego di don Vito arriva alle orecchie delle mamme di altri bambini, che gli chiedono chiarimenti: “Ha risposto loro che la parrocchia non è una scuola di calcetto”. E che subito dopo scelgono di trasferirli in altre parrocchie cittadine, pur con numerose difficoltà per gli spostamenti. A distanza di giorni, però, M.R. non trova un perché: “Sono disorientata – confessa – Ha senso nel 2017 parlare di tematiche come queste, che si credevano superate? E lui, parroco social, è autentico o ricoperto di una patina di ipocrisia? Negare i sacramenti a mio figlio è come negare l’estrema unzione”.
Don Vito affida a una nota la propria replica. “E’ noto il rinnovato impegno che la nostra comunità parrocchiale profonde nella attenzione e nella cura per la preparazione dei bambini ai sacramenti, con la partecipazione e la collaborazione delle famiglie”, scrive il sacerdote. “Nel caso concreto si è data piena adesione alla richiesta di preparazione del piccolo, pur essendo appartenente ad altra parrocchia, e nessuno ha voluto respingerlo o negargli i sacramenti: appreso della particolare disabilità di cui questi è portatore, ci si è limitati (doverosamente, anche e soprattutto nell’interesse del minore) a richiedere una particolare collaborazione alla famiglia, chiedendo anche di fornire delle linee guida comportamentali da tenere in caso di manifestazioni acute (linee che soltanto la famiglia può fornire): lo spirito di tale richiesta è stato probabilmente equivocato”.
“Questa comunità parrocchiale – conclude il sacerdote – che come sempre accoglie altri bambini con disabilità si augura che non si alimenti una artificiosa polemica che può soltanto nuocere a tutti, andando a incrinare quello spirito di fraternità e di stretta collaborazione che deve crescere sempre più tra famiglie e comunità”.
Sul telefonino la mamma conserva le foto di Antonio attorniato dagli amici mentre spegne le candeline, di Antonio che ride a cavallo, di giornate felici con tutta la famiglia. “Mio figlio è per noi fonte di arricchimento continuo, con la sua allegria. Non voglio accusare nessuno – ripete – ma chiedo soltanto che su questi temi si faccia informazione, che ci sia più consapevolezza e meno finta accettazione”.

Fonte: La Repubblica Bari

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