di Riccardo Cazzaniga
Basta, avanti, ammettiamolo.
Forza, infiliamo il dito nella piaga.
Le presentazioni di libri non funzionano.
Alle presentazioni di libri, fuori dai grandi Festival, la gente non ci va.
È un dato di fatto, è un argomento spesso taciuto, ma parecchio discusso tra scrittori e addetti ai lavori.
Qualsiasi autore può snocciolare una personale lista di presentazioni deserte o imbarazzanti o pasticciate o desolanti. Un elenco di posti dove è arrivato, magari dopo chilometri di viaggio e, mentre l’evento iniziava, ha pensato: “oh cazzo, che disastro!”.
Sì, è così, altrimenti non accadrebbe che, prima di qualsiasi presentazione, ci si imbatta in un povero organizzatore angosciato che anticipa una litania di giustificazioni preventive: “Speriamo che arrivi qualcuno, ma chissà… Sai, oggi piove. Oggi si gela. Oggi è troppo caldo. Stasera gioca la Rivarolese. Nel paese vicino hanno organizzato in contemporanea la Sagra della Porchetta, maledetti. I miei 14 amici che vengono sempre hanno organizzato un’amichevole di calcio a 7. Dovrebbero venire mia madre e mio nonno, ma lui ha la gotta e non so se riesce”.
Provo a fare una stima, basandomi sulla mia esperienza in presentazioni vissute da spettatore, da scrittore, da correlatore, da conduttore: diciamo che solo in 1 caso su 4 si riesce a superare l’entusiasmante risultato di 20 presenze.
Attenzione, questo discorso non vale solo per autori ed editori sconosciuti, ma anche per nomi se non di primissimo livello, di discreto successo.
Non è un caso che diversi colleghi (scrittori) inizino a disertare questi eventi, soprattutto in piccole librerie o biblioteche. So di molti autori che accettano inviti solo a Festival o Rassegne o collettori di più eventi capaci di raccattare un pubblico che non ti faccia sentire troppo solo.
Da parte mia continuo ad andare dappertutto, accetto ogni invito, cerco sempre di divertirmi. Anche quando le cose non vanno bene, prendo l’esperienza come una crescita.
Ma la realtà dei numeri rimane impietosa.
Perché? Come mai le presentazioni non riescono ad avere (o forse non hanno più) appeal, risolvendosi spesso in eventi carbonari per pochi intimi, con nessuna incidenza nella storia di un libro?
Dobbiamo arrenderci e basta, dando le presentazioni per morte?
Oppure c’è margine per migliorare?
Soprattutto: c’è qualcosa che possiamo evitare di sbagliare?
Che cosa infastidisce le persone che pure amano i libri, spingendole a restare a casa quando si tratta di sentirne parlare?
Ho provato a chiederlo ai diretti interessati, interrogando i miei lettori sulla pagina pubblica di Facebook.
Ne ho tirato fuori una decina di spunti, alcuni dei quali per niente scontati.
1 – L’orario non va bene. Ho sempre ritenuto che l’orario classico per le presentazioni (17.30–18) fosse anche l’orario migliore. Pare di no. Sembra anzi che le 18, oggi, siano orario insostenibile per il pubblico ancora in età lavorativa. Tra chi finisce tardi, chi deve attraversare la città e il traffico, chi deve pure cercare parcheggio, le persone in età lavorativa preferiscono rinunciare. Parliamo di una fetta non piccola di pubblico: diciamo fino ai 60 anni. Le 19 o, ancora meglio, le 20 permetterebbero un afflusso diverso.
2 – Sarebbe meglio presentare libri il Sabato o la Domenica, quando i lettori si possono prendere un po’ di tempo per sé stessi, piuttosto che nei giorni infrasettimanali colmi di impegni.
3 – Gli spazi non devono essere disagevoli. Locali angusti, troppo caldi o troppo freddi. Sale dove non si respira, senza posti a sedere, senza attaccapanni per lasciare una giacca, percorsi complessi e dribbling tra scaffali. Un ambiente poco confortevole trasforma la presenza degli ascoltatori in un atto di resistenza, più che in un piacere. La gente si porta dietro il ricordo di una serata “scomoda”: viene una volta, ma diserta alla successiva. E non torna più.
4 – Bisognerebbe offrire qualcosa. Non parliamo di organizzare un catering a base di sushi, ma anche un semplice bicchierino di vino o un vassoio di pizzette possono contribuire a creare un’idea di convivialità e a sentirsi accolti.
5 – Non c’è mai una scontistica. I libri vengono venduti sempre al prezzo intero, quando anche uno sconto minimo (10 per cento?) invoglierebbe di più all’acquisto, evitando che i presenti, mentre sentono parlare del libro, cerchino sullo smartphone dove comprarlo scontato on-line. Tema caldo, me ne rendo conto: difficile che proprio il libraio, già penalizzato da mille vincoli, debba farsi carico di questa spesa. Ma andrebbe trovato un modo, un benefit di qualche tipo per premiare i presenti. Se non su quello specifico libro, su altri futuri acquisti. O su più copie. Insomma, qualcosa.
6 – Il conduttore. Ecco, non me lo aspettavo. Non dai lettori, almeno. Ma questo aspetto è risultato il più citato e discusso, emergendo senza rivali come la maggior causa di scazzi per chi va a sentire una presentazione. I lettori lamentano la presenza di relatori spesso debordanti, auto-referenziali, che tendono a parlare di sé più che dell’autore, che mettono davanti il proprio ego all’ospite. Insomma, che non stanno al loro posto. Da scrittore mi sento di sottoscrivere con più firme in calce: nella mia esperienza ho avuto spesso difficoltà con relatori che tendevano ad allargarsi, a voler dare una loro lettura “complessa” del testo e finivano per annoiare i presenti. Il pubblico vorrebbe sentire le domande che lui stesso farebbe, domande essenziali, specie se non conosce l’autore.
7 -Troppi spoiler. I lettori NON VOGLIONO sapere cosa succede nel libro, come in quei trailer dei cinema di oggi, che ti raccontano tutto e rendono inutile vedere il film. Certo, va tracciato un minimo disegno della storia, altrimenti i presenti si perdono. Ma loro preferiscono avere una vaga idea del libro, poi leggerlo e scoprirlo da soli.
8 – La gente non sa dell’evento. La presentazione è pubblicizzata male (solo un foglio striminzito e invisibile affisso in libreria), è pubblicizzata poco sui canali web (mancano notizie ed eventi ad hoc sui social network, non c’è una notizia via mail) oppure è pubblicizzata tardi (i lettori lo scoprono all’ultimo giorno, specie dai giornali, quando non ci si riesce più a organizzare)
9 – La lunghezza. La presentazione è troppo lunga e finisce per stufare: mezz’ora e poi le domande del pubblico sembrano un tempo ragionevole, a meno che l’atmosfera non sia particolarmente propizia.
10 – L’autore. Anche lo scrittore può fare notevoli danni. Se è poco empatico o troppo sostenuto, se tende a dire quanto è bello il suo stesso libro e perché vada comprato, invece che lasciare trasparire solo la sua passione. Se ostenta un lessico troppo forbito o si perde in citazioni ed esibizioni di sapienza o bravura, l’autore diventa il suo peggior nemico e finisce per creare una distanza imperdonabile con la platea.
Quanto ai consigli per migliorare i lettori suggeriscono di usare maggiormente gli strumenti di cui la tecnologia ci fa dono a profusione e a basso costo: video, immagini, musiche correlate al libro rendono più stimolante l’evento, a patto che non siano troppo invasive.
Scegliere un relatore noto può attirare più persone, ma rischia di far tornare la faccenda a bomba ovvero al temuto relatore-tracotante.
Sarebbe auspicabile parlare non solo del libro e della storia, ma anche di tecnica narrativa, di scrittura, di costruzione del libro in quanto opera: non si tratta di imbastire un mini-corso di scrittura, ma di offrire qualche breve spunto o informazione che arricchisca e stimoli i presenti.
Le persone vogliono “tornare a casa con qualcosa” .
E non si tratta solo dell’oggetto libro.