(Ernesto Magorno. Fonte foto: dal web)
«Non mi ricandido. Ho cercato di svolgere al meglio il mio ruolo e chiuderò la mia esperienza senza essere stato cacciato né essermi dimesso». Lo ha detto qualche giorno fa il segretario regionale del Pd, Ernesto Magorno, a Lamenzia in occasione della presentazione Festa dell’Unità che si terrà a Belvedere dal 7 al 10 settembre.
Ma quella che sembrerebbe una innocua dichiarazione, nasconde (ma poi mica tanto) una spaccatura di un partito ormai frammentato e frammentario. Ernesto Magorno avrà certamente cercato di dare di svolgere al meglio il suo ruolo ma pare proprio non essere riuscito, diventando sempre di più un peso all’interno del suo partito piuttosto che una risorsa. E lui lo sa, lo sa bene.
Né cacciato né dimesso, sottolinea con orgoglio il dem diamantese, perché il partito stesso, che lo mal tollera, ha provato più volte a farlo fuori senza riuscirci. Lo ha salvato il rapporto stretto con Matteo Renzi, che pure, dopo le insinuazioni di un anno fa, si era leggermente incrinato.
Insinuazioni, dicevamo, che hanno fatto tanto male ad Ernesto e al suo partito, insinuazioni (finora si tratta solo di questo) che qualcuno dice siano state divulgate (nonostante un presunto segreto istruttorio di presunte indagini a suo carico) con il preciso intento di affossare definitivamente una carriera all’interno del Pd già da tempo in netto affanno. E già in questa incresciosa vicenda la stampa locale ha parlato dello zampino di Minniti.
Ma chi è che vuole la testa del povero Magorno? Chi lo conosce bene sa che non è uno che si arrende facilmente e l’annuncio della resa alle prossime elezioni per la segreteria regionale per molti ha il sapore del compromesso.
Nella Calabria degli intrecci e dei segreti inconfessabili, di segreti se ne mantengono ben pochi, peccato che molti non possano essere raccontati. Possiamo però dire che il ministro Marco Minniti, punta di diamante non solo del Pd ma di tutti i governi che si sono succeduti nella seconda Repubblica, avrebbe più volte espresso il desiderio di estrometterlo dal partito per la sua innata capacità di perdere consenso ovunque metta piede e di finire nelle bufere mediatiche di cui proprio non si ha bisogno. Per di più, nel Pd calabrese quelli a cui sta ancora simpatico si contano sulla punta delle dita di una sola mano.
E Magorno, che è molto più furbo e calcolatore di ciò che si possa pensare, ha pensato bene di fare un passo indietro ed uscirsene da eroe, piuttosto che essere cacciato con la “forza”. Anche perché negli ambienti circolano strane voci di commistioni su politica e procure, e nelle campagne elettorali non è mai una buona idea avere un magistrato contro. Specie se si ha qualche scheletruccio nell’armadio.