(Fonte foto; dal web)
di Leonardo Lasala
Il Sud muore. In un momento storico in cui il petrolio è ai minimi storici, in cui la tecnologia è globale e dove una seria politica di investimenti strutturali ed infrastrutturali potrebbe fare la differenza, il Mezzogiorno vede certificare il suo declino scritto tragicamente a tavolino da scellerate politiche nazionali e locali degli ultimi venti anni. I dati pubblicati in questi giorni dalla CGIA di Mestre certificano un fallimento annunciato, di cui sono tutti responsabili, da destra a sinistra, passando per il centro, l’opposizione e gli emergenti movimenti locali che scimmiottano in pejus quanto avviene in chiave nazionale. I dati sono molto chiari e non acclarano solo una caduta libera della nostra economia ma addirittura un peggioramento rispetto al recente passato.
Dal rapporto si legge come “in termini di Pil pro-capite, ad esempio, se nel 2007 (anno pre-crisi) il gap tra Nord e Sud del Paese era di 14.255 euro (nel Settentrione il valore medio era di 32.680 e nel Mezzogiorno di 18.426 euro), nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) il differenziale è salito a 14.905 euro (32.889 euro al Nord e 17.984 al Sud, pari ad una variazione assoluta tra il 2015 e il 2007 di +650 euro. Al Sud le variazioni percentuali più negative si sono registrate in Sardegna (-2,3 per cento) in Sicilia (-4,4 per cento), in Campania (-5,6 per cento) e in Molise (-11,2 per cento). “. Pur volendo seguire i dettami di Latouche ignorando il PIL abbiamo ulteriore certezza del default da altri indicatori non secondari. In termini ad esempio di esclusione sociale la CGIA Mestre afferma come “se nel 2007 la percentuale di popolazione a rischio povertà nel Sud era al 42,7 per cento, nel 2015 (ultimo anno in cui il dato è disponibile a livello regionale) è salita al 46,4 per cento. In pratica quasi un meridionale su due si trova in gravi difficoltà economiche. Al Nord, invece, la soglia di povertà è passata dal 16 al 17,4 per cento. Il gap, pertanto, tra le due ripartizioni geografiche è aumentato in questi 8 anni di 2,2 punti percentuali”
Chi scrive ritiene che le responsabilità di questo disastro sociale ed economico non siano esclusivamente di politiche nazionali. Se è vero che il Governo è stato incapace in oltre un trentennio di fare del Mezzogiorno il suo punto di riferimento, appare altrettanto vero che nessuna forza politica emergente è stata capace di rappresentare le istanze del Sud. La Lega Nord negli anni del suo boom seppe incarnare, quantomeno nelle intenzioni, le valutazioni degli imprenditori di un’ampia zona del Nord Italia stanchi di essere vessati dal sistema. Ecco che in tutti i governi in cui la Lega è stata in maggioranza il baricentro del Paese si è inevitabilmente spostato verso la “Padania”. In questi anni i partiti tradizionali sfiancati dal mancato consenso e dalla necessità di sostituire con i tecnicismi ad una trasparente e democratica elezione popolare hanno liberamente scelto di “scaricare” il Sud da ogni programma. Lo stesso M5S non ha brillato per politiche fattive per il Mezzogiorno ed appare enormemente sbilanciato a sostegno delle istanze della parte ricca del Paese. In questo panorama le regioni del Sud sono state incapaci di far fronte comune per riportare le nostre Terre al centro del dibattito. Sarebbe bastata ad esempio una legge regionale uguale in Campania, Basilicata, Calabria, Puglia e Sicilia per dare al Sud voce in capitolo. Ecco i porti di Gioia Tauro e Taranto smembrati, l’incapacità di effettuare una corretta comunicazione nei confronti delle popolazioni sulle reali opportunità legate all’innovazione, l’assenza di iniziative a tutela delle piccole imprese e della loro crescita. Ogni qual volta un personaggio al Sud intraprende una strada interessate, viene immediatamente risucchiato da ambizioni populiste di tipo nazionale, che fanno del governo locale un momento di puro passaggio e propaganda per obiettivi più ambiziosi. Non vi è traccia così di leggi regionali a favore dello sviluppo economico locale, così come di intese intra-regionali per progetti di crescita economica territoriale. E’probabilmente più social andare a parlare con un politico della Catalogna alzando il pugno in aria e gridando alla resistenza, che fare rete con le realtà territoriale vicine per affrontare il problema occupazione. Ed allora tutto deve cambiare: il modo con cui si scelgono i rappresentati pubblici, l’attenzione che i nostri rappresentanti devono avere per il contesto locale e la visione che abbiamo di ciò che è realmente crescita e benessere.
Tutti imputati nessuno escluso. Le vittime sono le giovani generazioni incapaci di vedere futuro e le generazioni più mature costrette a sostenere con un welfare di seconda generazione i più giovani. Si faccia politica seria al Sud per il Sud. Il tempo a disposizione è sempre di meno.
Leonardo Lasala, giornalista, studioso di sviluppo imprenditoriale e territoriale