Pubblicato su Cronache delle Calabrie,
di Francesca Lagatta
Anna Cervati è una donna distrutta dalla fatica e dal dolore, una delle tante mamme di ragazzi disabili abbandonate da Dio e dalle istituzioni, che la società, ancora troppe volte, considera un peso e non una cittadina da aiutare.
Qualche giorno fa ha impugnato carta e penna e ha scritto un’accorata lettera per chiedere aiuto per lei e per suo figlio Emanuele De Bonis, 43 anni, costretto a letto da 31 da un’adrenoleucodistrofia con tetrapresi spastica. «Voglio che a mio figlio vengano riconosciuti i suoi diritti – ci dice al telefono la donna – e chiedo che il Comune, come ha fatto per anni prima del commissariamento, paghi almeno la donna della pulizie per garantire la massima igiene in casa. Non ce la faccio più».
Il dramma di questa madre comincia prestissimo, quando al figlio all’età di 8 anni viene diagnosticato uno strabismo che in realtà è solo un sintomo della malattia. Due anni dopo, i grassi saturi, che il suo organismo produce in eccesso per colpa di un enzima che non funziona come dovrebbe, hanno distrutto le cellule provocando un danno neurologico irreversibile. Quando il figlio si ammala Anna è giovanissima e piena di forze, può contare anche sull’aiuto del marito e sull’assistenza economica che le garantisce il Comune. Poi, improvvisamente, la situazione precipita.
Sette anni fa muore il marito, poco dopo, è il gennaio del 2014, il consiglio comunale di Scalea viene sciolto per presunte infiltrazioni mafiose e inizia un lungo periodo di commissariamento, durante il quale l’assistenza va a farsi benedire. Muoiono anche entrambi i genitori di Anna e tutti gli altri parenti vivono a Milano, dove viveva anche lei prima di trasferirsi al sud.
Anna rimane sola contro tutti, contro le tre ore di sonno al giorno, la sveglia delle 5:30 del mattino, la dieta drastica che le porta via un paio di ore a pasto e le apnee notturne di Emanuele, che ogni volta rischia la vita. Unica consolazione: l’assistenza garantita dall’Asp sette giorni su sette, ma solo per tre ore al dì, durante le quali la donna riposa per rimanere vigile durante la notte.
Per il resto deve fare tutto da sola, comprare la spesa, farsi prescrivere le medicine e fare la fila per pagare le bollette. Per questo a casa ha pure una montagna di multe per eccesso di velocità. A volte è costretta a lasciare suo figlio a letto, incustodito, tra un trattamento e l’altro, pregando e sperando che in quei minuti non accada l’irreparabile.
Di trovarsi un lavoro neanche a parlarne, lei è l’unica che sa come gestire la malattia di Emanuele, già tre volte in coma nel corso della sua esistenza, impossibilitato a essere trasportato su un’ambulanza perché le posizioni a cui non è abituato lo esporrebbero a seri rischi e continuamente colpito da bronchiti più o meno gravi. Pertanto, i due sono costretti a sopravvivere con un’unica pensione, quella di invalidità, con cui sbarcare il lunario è un’impresa assai ardua. E i volontari? «In casa mia non ne ho mai visti. Aiutatemi a diffondere il mio appello».
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Cronache delle Calabrie
N.B. Dopo la pubblicazione dell’articolo, l’ufficio comunale di assistenza sociale di Praia a Mare ha fatto sapere che dal gennaio scorso la donna percepisce mensilmente un contributo attinto dai fondi inviati dalla Regione Calabria nell’ambito di un progetto per il sostegno delle famiglie con disabili a carico. La signora Anna Cervati ha però spiegato che al netto delle tasse, il contributo si attesta su una cifra che sfiora appena i 300 euro, che sarebbero comunque insufficienti per coprire le spese da sostenere.