Pubblicato su Cronache delle Calabrie
Una sorta di cupola mafiosa, con tanto di scagnozzi sguinzagliati sul territorio e giornalisti al soldo dei padroni.
E’ questo il quadro che si traccia in una lettera anonima diffusa ieri dalla cittadina di Verbicaro ma che ben presto ha fatto il giro della costa tirrenica. La missiva non apporta alcuna firma ma l’autore dice di parlare a nome dei soci della Banca di Credito Cooperativo di Verbicaro, l’istituto di credito che dal giugno del 2014 è finito nella bufera mediatica dapprima per presunte irregolarità riscontrate per il rinnovo del consiglio d’amministrazione e successivamente per l’indagine ancora in corso avviata dalla Procura della Repubblica di Paola.
L’inchiesta vede ancora attualmente indagati l’ex presidente della banca Giuseppe Zito, l’attuale presidente Francesco Silvestri, l’ex componente del cda Giuseppe Russo e il sindaco Nicolina Germano, a cui vengono contestati i reati previsti e puniti per gli art. 2629 bis dell codice civile e art. 137 tub, ossia omessa comunicazione di conflitto di interessi e mendacio e falso interno.
Il testo della lettera è un susseguirsi di pesantissime accuse e offese personali che ledono gravemente l’onore e il decoro delle persone in essa menzionate, ovvero l’ex assessore provinciale e attuale socio della Bcc Arturo Riccetti, l’avvocato e sindaco di Santa Maria del Cedro, Ugo Vetere, e la giornalista Francesca Lagatta. Riccetti e Vetere sarebbero a capo di una non meglio specificata organizzazione criminale che si servirebbe della cronista per divulgare notizie diffamanti, nonché fasulle, che riguardano la banca.
I tre si sono immediatamente rivolti alla Procura per denunciare l’accaduto e chiedere di essere ascoltati in merito all’episodio, che è solo l’ultimo in ordine di tempo da quando la cronista, nel marzo scorso, rivelò per prima dell’irruzione in banca degli uomini in divisa, i reati contestati e i nomi degli indagati.
La “vendetta” arriva solo qualche giorno dopo la sentenza del tribunale di Paola, con cui il giudice aveva ribadito per la seconda volta che le notizie risultano essere vere e che quindi non devono essere rimosse dai siti web nei quali sono state pubblicate, come richiesto dal legale della banca. Accogliendo parzialmente il ricorso, il giudice ha solo ordinato di rettificare la parte in cui si ipotizza l’irruzione da parte della Dda di Roma, che fu invece effettuata dal Nucleo di Polizia Valutaria di Reggio Calabria.
Ma il verdetto pare non essere riuscito a mettere d’accordo tutti.
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