Sono le 19:30 del 19 gennaio 2011. Francesco Defina sta percorrendo una strada buia e impervia che collega Filogaso e Sant’Onofrio (VV). E’ quasi a casa. Sta tornado da un pomeriggio trascorso accanto alla sua giovane fidanzata e i cavalli della sua auto potente liberano tutta l’adrenalina di un amore nuovo. Ma, in una curva maledetta, le luci abbaglianti sparate in volto di un’altra auto che procede in senso opposto mandano in frantumi i sogni e i 20 anni appena dello sfortunato conducente. Francesco perde il controllo del mezzo e, dopo varie capriole, si ritrova catapultato sull’asfalto. Vivo e cosciente, ma immobile. Dal collo in giù, il suo corpo non risponde più ai comandi. Ha tutto il tempo per rendersene conto, l’ambulanza che lo condurrà al nosocomio di Vibo Valentia arriverà soltanto due ore dopo.
E’ in fin di vita, dicono i medici a sua madre, che però non smette di pregare. Il ragazzo entra in sala operatoria in condizioni disperate, sangue nei polmoni, sterno e colonna vertebrale fratturati, ma ne esce vivo. In coma farmacologico, ma vivo. Perché la sua voglia di vivere è più forte della morte, e quando dopo 15 giorni apre nuovamente gli occhi, ci mette ben poco a dimostrarlo.
I medici gli spiegano le sue condizioni e gli dicono pure, in modo abbastanza cruento, che dovrà tenersele a vita. Ha un momento di sconforto, si rintana nella camera d’ospedale e piange. Pensa alla sua fidanzata, alle uscite con gli amici e a una famiglia da mandare avanti perché suo padre è venuto a mancare qualche anno prima. Allora suo zio, che gli rimane sempre accanto, capisce che deve fare qualcosa e lo accompagna in carrozzina nel reparto in cui ragazzi cerebrolesi di ogni età vivono ormai in stato vegetativo, convincendolo, addirittura, di come lui sia stato invece fortunato. Funziona. E’ quello il momento preciso in cui Francesco decide che il destino non l’avrà vinta. E così, quando la psicologa va a fargli visita meravigliandosi della suo sorriso stampato in volto invitandolo a riflettere seriamente sulla sua condizione, Francesco le dice con sarcasmo: «Dottoressa, mi dispiace che lei abbia tutto questo astio. Per caso suo marito l’ha tradita?».
Armato di cuffiette che sparano nelle orecchie la musica di “Going The Distance & The Final Bell” e di tanta buona volontà, si reca costantemente nella palestra dell’ospedale, dove rimane otto mesi, per svolgere l’attività di fisioterapia. E litiga con tutti i pessimisti che incontra. Ad un signore di 40 anni e padre di due figli che grida a gran voce di non voler più vivere, gli dice senza mezzi termini che non vuole più vederlo tra i piedi. E intanto continua a migliorare fino a che, un bel giorno, le sue braccia, finalmente, si muovono.
Ma il meglio di sé lo dà quando nel mese di settembre torna a casa. Quella carrozzina, che in un primo momento poteva rappresentare il più grande ostacolo, diventa il suo trono. La fidanzata, costantemente accanto a lui anche tra le corsie dei presidi ospedalieri, continua a dargli forza e coraggio, gli amici fanno a gara per portarlo a destra e a manca, di giorno e di notte. E pure alle 5 del mattino. Non ci sono costrizioni o barriere architettoniche che tengano. Poi ci sono la sua adorata mamma, che lo coccola come un bambino, e i suoi fratelli, a cui continua, con ogni mezzo, a fare da fratello maggiore. Insomma, se la sorte aveva intenzione di distruggergli la vita, ha fallito miseramente. Perché anche seduti su una carrozzina e senza l’uso degli arti, la vita è straordinariamente bella e degna di essere vissuta.
Francesco ne è fortemente convinto: «Sembrerà strano, ma nei lunghi mesi nei quali ero disteso e immobile in un letto e muovevo soltanto gli occhi, ho capito il vero senso della vita. E’ tutto lì, vivere è la cosa più bella che ci possa capitare, nonostante tutto e tutti». E’ un leone Francesco, uno che prende la vita a morsi, che coltiva tutti i suoi hobby e che, nonostante nel frattempo sia ritornato single, pensa addirittura di essere un privilegiato: «Il destino mi ha messo in queste condizioni – continua il giovane -, perché vuole che faccia capire agli altri il valore inestimabile della vita. Ma il destino sceglie solo i forti, quelli che sa che ce la possono fare». Poi lancia un accorato appello a quelli che vivono il suo stesso dramma: «Non perdete mai la speranza, e ve lo dico senza retorica. Chi non smette di lottare prima o poi arriva a un traguardo. E’ un dato di fatto». E in ultimo confessa: «Quando mi capita di avere un momento di malinconia o sconforto ho imparato a farmelo passare in un attimo: “Going The Distance & The Final Bell” che mi rimbomba nella testa e comincio a sentire il corpo che si muove da solo».
Perché la vita è il mistero più bello che ci sia.